È un soleggiato pomeriggio di settembre. Da un tempo indefinito tento di fare una cernita dei vecchi vestiti per riempire l’armadio nuovo. Un compito in cui mi sono tuffata con la solerzia di una bambina ostinata che neanche alle elementari; i risultati sono imprevedibili. Giacche dimenticate da anni, foulard di tessuti indomiti che non riuscirò a piegare neppure piangendo, accostamenti cromatici agghiaccianti, magliette sfigate, il mio armadio mi dà uno spaccato della mia personalità –o almeno, del mio modo di coprirla. Ne consegue il solito miscuglio di sobrietà adrenalina e delirio.
Sto per decidere di abbandonare tutto e scappare lontano, quando ecco: fra le mani mi capita un sottoveste leopardato in un tessuto tipo simil-poliuretano espanso, inindossabile (ha ancora il cartellino del prezzo). Non ho idea di chi l’abbia comprata e come sia finita tra i miei averi.
Una più assennata di me l’avrebbe semplicemente buttata, o avrebbe placato la sua coscienza regalandola alle associazioni che devolvono il nostro consumismo compulsivo in beneficienza. Io non so fare a meno di considerarla un’occasione. E se venissi ingaggiata in teatro a impersonare sedicenti casalinghe dalla evidente promiscuità? E se da grande decidessi di fare la star glamrockpostpunknewjazz? Sarebbe imperdonabile non averla più.
Fieramente la ripongo nell’armadio, assieme ai miei futuri inventati. Ho pensato che in fondo ci vestiamo quasi solo per non andare in giro nudi. Allora, tanto vale vestire immaginifici.
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Margherita (mercoledì, 28 settembre 2016 09:41)
Mi fai morire dal ridere!!!!
Soprattutto il dubbio di diventare un giorno una pop star mi sembra esilarante! Perché non solo lo capisco, ma pensò che sia poi veramente è oggettivamente possibile che lo diventi!! Julia Manf